domenica 24 marzo 2013

Punta Aderci e Punta Penna

Il promontorio di Punta Aderci permetteva al vento di pettinare i suoi fili d’erba: lo Scirocco planava su quei pendii fino a prendere la rincorsa per il grande salto nel vuoto sul mare. Le nuvolesvaporavano in appannamenti soffusi, l’umidità aumentava la percezione di freddo ed ogni cosa giaceva nel silenzio di quella energia misteriosa che appartiene ai romantici. Il mare fuoristagione aveva il sapore della nostalgia, di un luogo vissuto fuori il giusto tempo e per questo al di là delle intenzioni, al di là dei pensieri, al di là di quella conca profonda, misteriosa esconosciuta, che conteneva l’oblio più assoluto delle cose che non potevamo vedere: noi scrutavamo solo la sua superficie liscia e rassicurante, ma sapevamo bene che sotto di essafermentavano tantissime energie ignote. In fondo il mare era come la montagna. Il tardo pomeriggio lasciava scorrere sulla costa i colori appena rischiarati della sera, più il tempo avanzavae più tutto pareva rasserenarsi, come se si stesse cercando una quiete preparatoria al riposo della notte. Alcuni trabocchi vivevano il suono della risacca, e si lasciavano andare allamelodia dei flutti delle onde. I faraglioni di conglomerato si innalzavano sulla spiaggia come delle sentinelle che scrutavano l’orizzonte, mentre il crepuscolo giungeva distendendo ognicosa. La riva si vestiva e svestiva ogni volta del suo manto d’acqua, rilasciando conchiglie e gusci di ricci di mare, mentre verso l’interno tante piccole dune animavano quella superficiespiegata. La notte dava voce al faro di Punta Penna, che rischiarava ogni lontananza con giri di luce alternati. Laggiù, persi nel buio, alcuni barlumi provenivano dal promontorio delGargano, il mare e la notte si fondevano in un tutt’uno impossibile. La Riserva Naturale di Punta Aderci tutela il tratto di costa naturalisticamente più bello e interessante d’Abruzzo:un susseguirsi di spiagge di sabbia e ciottoli, di alte falesie e scogliere, di paesaggi agricoli e macchia mediterranea. La Riserva si estende per 285 ettari dalla spiaggia di Punta Pennaalla foce del Fiume Sinello. Il promontorio di Punta Aderci caratterizza l’intera area abbracciando il parco e i sottostanti fondali marini, offrendo una visuale a 360° su tutta la Riserva, acui fa da sfondo, la sera, il rosso del tramonto che disegna i profili delle montagne dei tre parchi nazionali: Majella, Gran Sasso-Laga e i Monti Sibillini. La Riserva ospita comunità dipiante resistenti al salmastro, al calore e al vento secondo una sequenza che, dalla battigia verso l’interno, vede insediarsi prima piante pioniere – come il ravastrello – poi specie delladuna mobile – come la gramigna delle spiagge – e infine quelle della duna fissa fino alla comparsa delle piante arbustive e della macchia mediterranea. Le dune e l’ambiente fluviale si prestanobene all’osservazione naturalistica e al birdwatching. Qui svernano e sostano molte specie di uccelli come aironi, svassi, sterne, cormorani, il falco di palude e il fratino che campeggia non a caso nel logo di Punta Aderci. (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo).

sabato 23 marzo 2013

L'Abbazia di San Clemente a Casauria

La pietra si alleggeriva di merletti superbi, quasi a voler imitare la delicatezza di un vestito. L’Abbazia di San Clemente a Casauria era in assoluto uno dei gioielli architettonici più belli d’Abruzzo, la materia che la componeva plasmava addosso la figura dei re, contava infinite simbologie e svelava a tratti enigmi arcani legatial Sacro. L’interno si vestiva della luce filtrata delle finestre sommitali, e il suo chiarore pareva a sua volta amplificare lo spazio. Tra colonne ritmate, decori e la solenne impostazione della chiesa mi tornavano in mente le parole di Gabriele d’Annunzio che, tanto affascinato da quella cattedrale, la volevacome ultima dimora per la madre morta. Poco rimaneva dell’orrore del passaggio dei Saraceni, del male dei saccheggiamenti e della distruzione dei terremoti, l’energia positiva di quel luogo rimaneva inalterata ed accoglieva tutti lasciandoli stupefatti: la gente si ammaliava della sua bellezzaquasi inconsapevolmente  senza rendersi conto che era la sua essenza ad emanare incanto. L’Abbazia sorge nei pressi del sito dell’antico pago romano di Interpromio, alcuni studiosi pensano che il primitivo sacello sorse sui resti del tempio dedicato a Giove apportatore di venti, Casa Urii (Urios) e da questi il toponimo diCasauria. La chiesa dedicata inizialmente alla SS. Trinità, con annesso Monastero venne fondata dall’Imperatore Ludovico II nel 871 per scioglimento di un voto fatto durante la prigionia di Benevento. L’anno successivo (872), il papa Adriano II concesse le reliquie di S. Clemente, papa e martire, al monasterocasauriense. In breve tempo l’Abbazia divenne molto potente per i donati dell’Imperatore, ma nel 920 fu saccheggiata dai Saraceni e, nel momento che riacquistava poderi e potenza, tra il 1076 e il 1097, venne di nuovo e ripetutamente saccheggiata dal Conte normanno Ugo Malmozzetto. Nel XII secolo l’Abbaziaebbe il periodo di massimo splendore: nel 1105 l’Abate Grimoaldo la restaurò e la riconsacrò, dal 1152 l’Abate Leonate la trasformò completamente con un progetto veramente monumentale, il suo successore, l’Abate Iole, continuò fedelmente l’opera intrapresa da Leonate. Dal XIV secolo iniziòuna lenta ed inarrestabile decadenza aggravata dal terremoto distruttivo del 1348 che rovinò chiesa e convento. Soltanto la prima fu restaurata parzialmente nel 1448; del ricco Monastero, con chiostro e colonnine binate, solo nel 1700 fu ripristinata un’ala. Nel 1775 il complesso divenne regio patronato subendoancora danni e degradazioni. La chiesa ha avuto numerosi restauri: nel 1891, nei primi decenni del ‘900, soprattutto dopo il terremoto del 1915 e, non ultimi i restauri degli anni ’70 ed ’80. La pianta della chiesa è a croce latina con i bracci del transetto poco sporgenti, divisa in tre navate ed unica absidesemicircolare, in corrispondenza della navata del centro. I pilastri sono a sezione variabile nelle prime quattro campate. In fondo alle navate laterali si aprono due piccole scale in pietra che discendono dalla cripta. Questa, realizzata nel IX secolo, presenta due recinti absidali uno dei quali, quello più esterno,denuncia l’ampliamento della soprastante area absidale della chiesa avvenuta nella ricostruzione del XII secolo. La cripta è divisa in due navate trasversali di nove campate ciascuna. La facciata è preceduta da un pregevolissimo portico a tre arcate di cui, la mediana, e tutto sesto e le laterali a sesto acuto, questeultime più di gusto orientale che gotico-borgognone. I capitelli delle colonne, addossate ai pilastri rettangolari che dividono le arcate, sono ricchi di sagome e di fregi. La parte soprastente il portico, al di sopra di una bella cornice impreziosita da archetti pensili, presenta quattro finestre bifore, elle quali duearchitravate e due ogivali, provenienti dall’antico monastero e collocate in facciata nel 1448. La facciata termina con coronamento orizzontale. Il portico è coperto con volte a crociera costolonate e vi si aprono i tre portali d’ingresso alla chiesa. A sinistra del portico si vedono i resti di struttureappartenenti alla primitiva torre campanaria ed al convento; sulla destra sorge la parte del monastero ricostruita a fine settecento. Il portale mediano è molto ricco nella parte scultorea ed ha l’archivolto formato da tre archi a ferro di cavallo, anche questi di gusto orientale, concentrici e rientranti, poggiati suelaborati capitelli, scolpiti con motivi antropomorfi e a fogliame, i quali poggiano su semplici colonnine. Gli stipiti presentano quattro figure scolpite che con ogni probabilità rappresentano i sovrani benefattori del Monastero. Sopra gli stipiti, due elaborati capitelli sostengono un architrave sul quale è raffigurata lastoria della fondazione dell’Abbazia: da sinistra verso destra si nota un edificio con la scritta Roma che rappresenta la città, Adriano II consegna a Ludovico II le reliquie di S. Clemente, è vicino all’imperatore il “Suppo Comes” con la spada, l’Imperatore segue un asino carico delle reliquie del Santocontenute nella teca di alabastro, la chiesa è rappresentata circondata dal fiume Pescara e due monaci sono in attesa, l’Imperatore offre a Romano, primo abate del Monastero, lo scettro abbaziale e con esso il possesso del luogo, il milite Sisenando e il vescovo Grimoaldo, consegnano l’isolapescariense all’impearore affiancato da “Heribaldus Comes”. La lunetta è occupata, al centro, da S. Clemente in cattedra con alla destra i Santi Fabio e Cornelio e alla sua sinistra l’abate Leonate, in abito cardinalizio, che presenta il modello della chiesa ricostruita. Le porte di bronzo furono eseguite sotto la reggenzadell’abate Iole, successore di Leonate e sono suddivise in 72 formelle all’interno delle quali sono rappresentate croci, abati, rosoni, e 14 castelli, con relativi nomi, soggetti all’Abbazia. (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo, affisso dal MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI – Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici per l’Abruzzo).

Monte Picca e Monte Alto da Bussi sul Tirino

La Valle del Tirino si addolciva sotto le temperature della primavera, che conciliata dalla modesta altitudine diffondeva ovunque il candore dei fiori di mandorlo. Seguivamo una tracciache da Bussi saliva in direzione del Monte Picca, un sentiero marcato che senza incertezze conduceva alla Fonte di Monte Alto. Il bosco si animava della presenza dei boscaioli, che nonriuscivamo a vedere, ma che sentivamo attraverso il rumore delle motoseghe. Gli asini e i muli ci guardavano mimetizzati nella macchia, la nostra presenza li aveva bloccati nel dubbio dellenostre intenzioni, ma una volta tranquillizzati riprendevano a scendere con addosso il carico di legna, era la prima volta che vedevo all’opera gli animali da soma. Scorgevamo le viole el’azzurro dei fiori dell’erba trinità, più salivamo più a tratti la vista si scopriva sulla valle sottostante: il fiume Tirino curvava le sue anse in un gioco sinuoso, e la luce che rifletteva addosso portavaa terra un pezzo di cielo. Dalla cima del Monte Alto si scorgevano lontanissimi punti di fuga, la Majella si imponeva su tutti per la sua vicinanza, tenendo stretto a sé il massiccio del Morrone.Scorgevamo, da questa nuova visuale, i profili diversi delle montagne che conoscevamo, apparivano tutte nuove e sconosciute, tutte da riscoprire ancora e ancora nuovamente.Solo il Sirente mostrava sempre la stessa faccia, così come il Corno Grande, grazie al beneficio della sua altezza. Un filo di cresta conduceva sulla vetta affilata del Monte Picca, uno degliultimi contrafforti del Gran Sasso, un rilievo che nonostante la modesta altitudine di 1405 metri si apriva ancora maggiormente a visioni panoramiche. La piccola croce di vetta teneva alle spallela protezione del bosco, mentre dall’alto osservavamo le nubi lentamente animarsi sotto il vento di Scirocco.

giovedì 21 marzo 2013

L'Abbazia di San Crisante da Filetto

Il sole del pomeriggio filtrava attraverso gli ingressi delle grotte nei pressi di Filetto, quegli insediamenti rupestri accoglievano da secoli la figura dell’uomo, e la mantenevano unita alla propriacome un connubio inscindibile, l’uomo qui si adattava alla natura e non viceversa. Un sentiero di pellegrinaggio si dipanava attraverso scorci solitari e severi, tra sali e scendi addolciti dal verdedei pini e dal chiarore delle montagne innevate. Nel Medioevo la ricchezza dei pascoli affollava questi ultimi e modesti contrafforti montuosi, la vita scorreva lungo i terrazzamenti e idolci pendii così come la ricchezza di tanti secoli addietro lasciava la sua memoria attraverso i resti di chiese rupestri ed antiche abbazie. Molte furono le cose perdute con il passare deltempo, persino dell’antico castello di Filetto che contribuì alla fondazione della città dell’Aquila non se ne avevano più tracce, eppure tra gli storici c’era l’opinione diffusa che sorgesse proprionei pressi dell’Abbazia di San Crisante, risalente al XII secolo. L’aspetto severo di San Crisante, più simile ad una fortezza che a una chiesa , ricorda che gli insediamenti pastorali del GranSasso, anche se appartenenti a religiosi, erano esposti ad attacchi e scorrerie. Lo stile costruttivo di San Crisante, in particolare nella muratura e nelle feritoie, è lo stesso della primabasilica di Santa Maria di Collemaggio, di cui restano oggi solo pochi resti. All’interno della chiesa sono degli affreschi, dei quali però non è facile individuare i soggetti. Provvede a spiegarceli lostorico settecentesco Ludovico Antonio Antinori che nella sua Corografia del 1727 spiega che i personaggi ritratti sono “Gentile antico signore de’ Castello” e “Maria di Gualtieri di Gentile”,affiancati “dalla Vergine, da Santi Crisante e Daria e altri Santi in abiti sacerdotali”. Sopra l’altare, invece, compaiono negli affreschi “Santi Crisante e Daria in tuniche corte, palma in manoe libro nell’altra”. Lo stesso autore descrive la fontana e il piccolo chiostro dell’abbazia, oggi scomparsi. (Il testo riportato in corsivo è citato dal libro “Meraviglie sconosciute deiParchi d’Abruzzo – numero 5: “Monaci, contadini pastori”, e tratto dall’articolo “L’Abbazia di San Crisante, Magnifici i panorami sul Gran Sasso” scritto da Stefano Ardito – CarsaEdizioni). La facciata della piccola chiesa assorbiva gli ultimi raggi di sole prima del tramonto, la pietra dava sfoggio della sua natura immortale, della sua perfetta funzione strutturale, che nonostantei secoli vedeva ancora strette le sue fughe. La sera scendeva quietamente, il massiccio del Gran Sasso alterava il candore della neve con i colori della sera, la primavera giungeva oggi.